mercoledì 24 settembre 2014

Volterra e d'intorni






Situata nel cuore della Toscana, a circa 40 km dal mare e a modesta distanza dalle più importanti città d'arte, sorge Volterra in un contesto paesaggistico di grande suggestione.

Arroccata sulla sommità di un alto colle in straordinaria posizione panoramica a spartiacque tra le valli del Cecina e dell'Era, Volterra domina in completa solitudine un vasto territorio caratterizzato da un ricchissimo quanto eterogeneo patrimonio di risorse storiche, artistiche e ambientali.

Il paesaggio volterrano, è molto vario , mostra una vasta area di brulli e rotondi dossi argillosi, di aspri e ripidissimi calanchi, di nude e aride biancane e di precipiti balze sabbiose. E mostra una vasta area di boschi, con le più varie specie di alberi e painte di bassofusto. Nn ha caso VOlterra e i suoi dintoni, sono stati definiti, da molti, come una rarità in un paesaggio unico al mondo

Le zone altimetricamente più elevate risultano coperte di boschi costituiti prevalentemente da cedui misti di quercia rovere e cerro mentre il pioppo appare diffuso nei luoghi umidi e lungo il corso dei torrenti e il cipresso, sia isolato che in piccoli gruppi o filari lungo le strade campestri

Nelle zone più basse, invece dove vi è uan scarsa circolazione idrica dominano soprattutto i seminativi nudi, che si alternano talora a oliveti e filari di viti in prossimità dei centri abitati o laddove siano presenti affioramenti di natura argilloso-sabbiosa, assai più idonei allo sviluppo di tali colture. La sommità del colle di Volterra, si può ammirare la presenza di numerose piante d'alto fusto (lecci, querce, platani, e, nelle valli settentrinali, estese aree di castagni) che raggiungono talora anche notevoli dimensioni.

Per quanto riguarda infine la fauna, le zone boschive costituiscono la sede ideale per cinghiali e volpi, mentre in aree più protette (Berignone) trovano ospitalità caprioli, mufloni e daini. Più importante è comunque l'avifauna che oltre a numerosi rapaci annovera, tra l'altro, pernici, allodole, colombi, qualglie, merli e pettirossi.

Ma Volterra, coem già accennato nn è rinomata solo per la sua nantura varia e unica al mondo, ma anche per essere una cittadina in cui sono rimaste visibile le testimonianze di tremila anni di storia.

Su una vasta area in Piano di Castello e attraverso varie stratificazioni è possibile leggere la nascita e lo sviluppo della città, a partire dalla preistoria fino al secolo XV. Ben visibili appaiono le fondamenta di due edifici, identificati come templi A e B separati da una strada intertemplare che circonda e delimita in parte il luogo cultuale.
Resti di abitazioni di età ellenistica, un complesso sistema di cisterne fra cui la cosiddetta Piscina, impianti di torri medievali e strade poggianti su fondamenti più antichi, lo sterminato paesaggio che va dal Mar Tirreno agli Appennini rendono questo luogo uno dei più interessanti e piacevoli della città.

Volterra è una delle città più importanti , insieme a Populonia, della civiltà etrusca, che si sviluppò nell' Italia centrale - con alcune zone dell' Italia settentrionale e meridionale - dal IX al I secolo a. C., quando (nel 90 a.C.) tutta l' Etruria fu integrata nello stato romano.
La città, che inizia la sua formazione già dalla fine dell' Età del Bronzo (X sec. A.C.), ebbe grande importanza perchè domina un distretto ricco di giacimenti di minerali, ivi compresi, quelli metalliferi (piombo e soprattutto rame).
I reperti etruschi di Volterra più noti nel mondo sono le urne di tufo e di alabastro (IV - I sec. a.C.) , quali venivano poste le ceneri dei defunti. Sono piccole cassette che hanno spesso come coperchio una scultura che rappresenta il defunto stesso e sulla fronte scene scolpite a rilievo che rivelano le concezioni funerarie dei committenti. Ma la città ha una lunga storia, che ha lasciato traccia tangibile nella sequenza stratigrafica dell' acropoli, vero centro della città, dal punto di vista non solo e non tanto topografico, quanto ideologico, quale luogo deputato alla autoidentificazione della comunità

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Furono proprio gli Etruschi, dopo aver portato a termine un processo di aggregazione tra i vari insediamenti del colle volterrano, nel secolo IV che iniziarono la costruizione alla città di Velathri costruendo . la grande cinta muraria il cui perimetro, di oltre sette chilometri lascia supporre che insieme all'habitat racchiudesse anche terreni a pascolo e a coltivazione, capaci di assicurare alimenti in caso di prolungati assedi.

Purtroppo però gli etruschi, popolo di grande arte volgia di lavorare, voglia di nn belligerare con altri popoli, ebbe poca vita.

Le origini del popolo etrusco, anche se sembra abbiano ora trovato la loro verità, sono state dubbie per molti secoli .. Alcuni sostevano un origine fenicia, altri lidia, altri greca. Altri specialisti: gli etruscologi, sotenevano che erano, arrivati in Toscana dalle Alpi. Studi, ritrovamenti, ricerche hanno appurato che gli etruschi non sono mai immigrati, ma sono sempre stati nello stesso posto. Sono originari del luogo dove la storia li incontra per la prima volta . A pescindere cmq da ogni linea di tendendenza che volge a stabilire l’esatta origine del popolo etrusco, si può dire che quella etrusca è sia stata la prima grande civiltà dell'Italia. Restano molte ombre sulla vita di questo popolo anarchico: ogni città dell'Etruria voleva restare indipendente e non ammetteva di veder limitata la propria autonomia. Scrive Indro Montanelli nella sua 'Storia di Roma': 'Un trattamento particolarmente severo i romani riservarono agli etruschi, quando, dopo aver subito da loro molte umiliazioni, si sentirono abbastanza forti per poterli sfidare. Fu una lotta lunga e senza esclusione di colpi, ma al vinto non furono lasciati neanche gli occhi per piangere. Raramente si è visto nella storia d i un popolo scomparire dalla faccia della terra, e un altro cancellarne le tracce con ostinata ferocia. E a questo si deve il fatto che di tutta la civiltà etrusca non è rimasto quasi più nulla. Non ne sopravvivono che alcune opere d'arte e qualche migliaio di iscrizioni, di cui solo poche parole sono state decifrate'.

Si conosce poco della loro lingua, ad esempio, ma anche della loro organizzazione sociale e politica. Quel che si sa con relativa certezza è che fu un popolo non bellicoso. E questo potrebbe essere uno dei motivi per cui si hanno così poche informazioni sul loro mondo: perché gli storici dell'antichità, in assenza di episodi di violenza, non sapevano più cosa scrivere nei loro annali. L'unico periodo ben documentato, neanche a farlo apposta, è quello dell'azione fagocitante (e cruenta) di Roma nella sua espansione verso nord. Un altro aspetto del carattere dei nostri antichi progenitori, emerso con relativa chiarezza, è quello della loro predisposizione alle attività creative e al culto che dedicavano ai defunti.
Nei bronzi e nei vasi di terracotta, ritrovati vediamo decorazioni di gente obesa.. Furono i primi in Italia ad avere una flotta. Dettero il nome Tirreno al mare di Toscana. Erano tipi svegli: crearono villaggi con un piano urbanistico preciso, bastioni, strade, fogne. Sapevano commerciare. E conoscevano il denaro. Populonia è stata la prima città etrusca ad adoperare la moneta come mezzo di scambio. Era la zecca più importante dell'Etruria per argento e rame.
Erano tipi allegri gli etruschi: nei vasi ritrovati sono dipinti davanti a tavole imbandite. Erano esperti nei giochi, negli sport, soprattutto nel giavellotto e nel disco. In politica si affidavano a un magistrato, il lucumone, ed erano molto religiosi. Le città etrusche esplosero in tutta la loro potenza tra il VII e il VI secolo a.C. Poi cominciò il declino. L'Etruria alla fine divenne romana. Anziché unirsi le sue città preferirono combattere in ordine sparso, pagando duramente questa loro vocazione all'anarchia. Ora, per ritrovare qualcosa della loro civiltà, bisogna scavare dentro le colline e sotto le macchie. Certo è ceh ogni ritrovamento di un reperto etrusco, è una conquista, è una vittoria, è una speranza di portare alla luce, notizie, e usanze, di un popolo tanto lontano da noi, ma forse che nulla avevano da invidiare alla nostra moderna e "preziosa " cultura e teconologia

Volterra, divenne una delle dodici lucomonie che formarono la nazione etrusca, con un territorio che si estendeva dal fiume Pesa al mar Tirreno e dall'Arno al bacino del fiume Cornia. Nel VI sec., divenne la più importante base strategica della valle inferiore dell'Arno sia per la spinta romana dal sud, sia per l'invasione gallica dal nord.

Come accennato più sopra, agli inizi del III sec, la civiltà etrusca stava haimè giungendo al tramonto. . Lo scontro decisivo del lago Vadimone (283 a. C.) segnò la definitiva rinuncia dei popoli dell'Etruria alla lotta contro Roma: Volterra sottomessasi ai Romani verso il 260, entrò a far parte, insieme ad altre città, della confederazione italica. Durante la seconda guerra punica nel 205 a. C., Volterra contribuì, agli approvigionamenti e ai riforniemnti all’esercito, del famoso Scipione , lAfricano. con legnami per le navi e con frumento, per gli approvigionamenti alimentari . Nel 90 a . C. con la Lex Julia de Civitate, Volterra ottenne la cittadinanza romana, fu iscritta alla tribù Sabatina e costituì un florido municipio i cui supremi magistrati elettivi ordinari e straordinari si trovano menzionati in varie iscrizioni. Scoppiata la guerra civile, Volterra seguì le sorti del partito di Mario; la città sostenne per due anni (82 - 80) un lungo assedio contro Silla, finché, stremata, dovette arrendersi.

Le conseguenze della sconfitta furono gravi, ma non irreparabili: grazie sia all'azione moderatrice di Cicerone sia al grande potere economico e ai rapporti di alcune delle maggiori famiglie volterrane con personalità di spicco della vita politica romana , la città riuscì a superare , le conseguenze all'assedio e alle rappresaglie sillane (81 - 79 a.C.

Con l'ordinamento territoriale augusteo, Volterra costituì uno dei municipi della VII ragione, l'Etruria e, nel V sec., alle prime invasioni barbariche la città strutturatasi in forme castrensi, era già sede vescovile a capo di una diocesi che ricalcava i confini del municipium romano e della lucomonia etrusca e costituiva una delle circoscrizioni ecclesiastiche più importanti della Tuscia Annonaria.
Assoggettata dagli Eruli e dai Goti, ospitò successivamente un presidio bizantino e, durante il regno longobardo, divenne sede di gastaldo, facendo parte della dotazione del re. Nel periodo più oscuro delle invasioni, appare la leggendaria figura del vescovo Giusto, patrono da Volterra, che, insieme ai compagni Clemente e Ottaviano, si rese benemerito della città a causa di imprese civili e religiose cui dette luogo durante la sua vita. Nei IX-XI sec., per il favore degli imperatori carolingi, sassoni e franconi, inizia e si sviluppa la signoria civile dei vescovi volterrani, che, esenti dalla giurisdizione comitale e forti di privilegi e immunità, finirono per imporre la loro civile autorità non solo in Volterra ma anche su molti popoli della diocesi.

Contemporaneamente, il risveglio economico generale, di cui appare qualche barlume negli ultimi tempi longobardi, porta la città ad essere il polo in cui si focalizzarono non solo degli interessi religiosi, ma anche della vita sociale, economica e giurisdizionale del contado: i quattro mercati concessi dagli imperatori carolingi durante il IX sec. in concomitanza ad altrettante feste religiose, oltre a dimostrare la ripresa dei traffici e dei commerci nel territorio volterrano, rivestono una grande importanza, essendo mercati franchi, esenti da gabelle.

L'aumento della popolazione (dopo l'anno Mille) al termine delle ultime invasioni ungare e la fine dei conflitti fra Berengario I e Alberto marchese di Toscana che portarono alla quasi totale devastazione di Volterra, provocano la nascita dei primi borghi che si addensano ai margini della zona del Castello: il borgo di Santa Maria e il borgo dell'Abate .. Ma nella prima metà del XII sec. Volterra si organizza in libero comune, pronto a lottare con il vescovo per il possesso della città e delle ricchezze del suo territorio: consapevole che il maggior provento della città è la produzione del sale di sorgente, acquista diritti sullo sfruttamento delle Moie nonchè molti diritti sul'estrazione dello zolfo, del vetriolo e dell'allume nella zona di Larderello, Sasso e Libbiano.

La lotta tra il vescovo e il comune fu lunga ed aspra ed ebbe il suo culmine con i tre vescovi della stessa potente famiglia dei Pannocchieschi: l'esito dello scontro fu favorevole al comune, ma ben presto Volterra dovette fare una politica tutta rivolta alla sua conservazione e molto conciliante verso Pisa, Siena e soprattutto verso Firenze.

Il terreno sul quale nel periodo comunale sorse il cuore della vita cittadina era di pertinenza del vescovo, che vi esercitava la sua giurisdizione, ne regolava l'attività mercantile, riscuoteva le tasse e si identificava con il prato vescovile, in origine prato del re. E il comune, appena sorto, cercherà di sostituirsi all'autorità vescovile in queste funzioni, dettando, a sua volta, leggi e statuti. Intorno alla spiazzata del Prato incominciarono a sorgere le torri e la prime abitazioni e sulla vasta spianata fu piantato, all'uso tedesco, un olmo, sotto il quale si radunavano abitualmente i consoli e gli anziani per discutere e legiferare
Dal punto di vista urbanistico si assiste ad una riorganizzazione dell'insediamento che configura in maniera pressocchè definitiva la città. La prima iniziativa importante è la edificazione della nuova cinta muraria che sostituì quella etrusca del IV sec. a. C. : il lavoro occupò il comune fino dai primi anni dell Duecento e impegnò ingenti risorse economiche. Contemporaneamente alla costruzione delle mura nuove sorgono il palazzo del Popolo, poi dei Priori e la sistemazione della piazza dei Priori, la "platea communis" già chiamato Prato

Nel corso del duecento sul pratus episcopatus viene costruita la domus comunis (Palazzo dei Priori, 1208) Il palazzo fu edificato da maestro Riccardo nel 1239 come recita l'iscrizione vicino al portale d'ingresso, All'interno, decorato dagli stemmi di capitani fiorentini, sono conservati una Crocifissione e Santi, affresco di Pier Francesco Fiorentino che dipinse anche l'altra Crocifissione nell'anticamera del sindaco, mentre la Vergine con il Bambino è attribuita a Raffaellino del Garbo. Nella sala del Maggior Consiglio, decorate con scritte e stemmi nel XIX sec., spicca l'affresco riportato su tela dell'Annunciazione fra Santi Cosma e Damiano e San Giusto e Ottaviano di Jacopo di Cione e Nicolò di Pietro Gerini. Nella parte destra tela lunettata raffigurante le Nozze di Cana di Donato Mascagni, XVI sec.. Nella sala attigua detta della Giunta: tavola raffigurante Persio Flacco di Cosimo Daddi, un affresco monocromo riportato su tela riproducente San Girolamo, due piccole tele raffiguranti Adorazione dei Magi di Giandomenico Ferretti (XVIII sec.) e Nascita della Vergine di Ignazio Hugford, una tela con il Giobbe di Donato Mascagni. Nella controparete: sinopia dell'affresco dell'Annunciazione esistente nella sala del Consiglio: intorno, postergali lignei finemente intarsiati del XV sec., provenienti dal Monte Pio.

. In linea con il Palazzo dei Priori sorge secondo lo stile tipicamente toscano la piazza S.Giovanni dove si affacciano tutti gli edifici della chiesa: la cattedrale, il battistero, la casa dell'Opera, l'ospedale di Santa Maria, il cimitero

Anche il Duomo e il Battistero che costituiscono l'altro nucleo urbano importante, subiscono grandi lavori di ristritturazione: l'ingrandimento e la decorazione esterna della facciata della Cattedrale viene assegnata dal Vasari a Nicola Pisano nel 1254.

Il duomo dedicato all'Assunta, fu ricostruito intorno al 1120 su una preesistente chiesa dedicata a Santa Maria. La facciata a salienti è divisa orizzontalmente da una cornice a trecce e fiori mentre verticalmente è ripartita in tre comparti da forti lesene quadrangolari di tipo lombardo. L'inserzione del portale marmoreo con la lunetta a tarsie geometriche, formato da materiale di sfoglio di epoca romana, è da riportarsi al XIII sec. . L'interno, pur conservando nella struttura e nell'impianto la forma romanica a croce latina, la stessa che caraterizza l’abazzia di Vallobrosa, di cui aprleremo più avanti, a tre navate, per i continui rifacimenti avvenuti nel corso dei secoli, offre, in particolare sulla linea delle navate, un aspetto tardo-rinascimentale.
Nel 1580-84 nell'opera di adeguamento alle nuove norme liturgiche, scaturite dal Concilio di Trento e caldamente sostenute dal vescovo Serguidi, furono fatti scalpellinare e poi rivestire di stucco a Leonardo Ricciarelli, i capitelli delle ventidue colonne che Giovampaolo Rossetti rivestì pure di stucco "di polvere di marmo e mattoni". Fu eseguito, pure il soffitto a cassettoni, gradevole insieme da croci, rombi, ottagoni, fiorami, figure di santi e vari colori e oro, disegnato e messo in opera da Francesco Capriani, intagliato da Jacopo Pavolini da Castelfiorentino e messo a oro da Fulvo della Tuccia. Al centro della navata è lo Spirito Santo (il Paradiso). Intorno sono i busti dei santi della chiesa volterrana: S. Ugo e S. Giusto, S. Lino Papa, S. Clemente, le SS. Attinia e Greciniana. Al centro del transetto è la Vergine Assunta in cielo con ai lati S. Vittore e S. Ottaviano. Gli stemmi dei Medici, del Serguidi e del Comune sovrastano l'arcone trionfale e una iscrizione ricorda che il grandioso soffitto è stato realizzato grazie alla munificenza del granduca, alla sollecitudine del vescovo, alla concordia dei cittadini.

Fu anche ricomposto un pulpito con materiali preesistenti e pezzi nuovi, dopo che fu tolto il recinto presbiteriale, che era al centro della chiesa. Le finestre romaniche furono occluse e aperte quelle rettangolari ancora in uso.

L'odierno circuito medievale delle mura racchiudeva, fino a pochi anni orsono, quasi tutta la città che non ha avuto nei secoli una forte espansione urbanistica rimanendo, pertanto, quasi uguale a se stessa con i suoi quattro borghi medievali, raccordati alla città da strade in salita. Sono i borghi di S.Alessandro, sulla via delle Saline guardante la Val di Cecina, di S.Lazzaro, sulla via per Firenze e Siena, di S.Stefano e di S.Giusto, il più lontano dalla città, in prossimità delle Balze e dominato dalla possente mole della chiesa dedicata al patrono; è per definizione il borgo di Volterra tanto che, comunemente, si indica con "i borghi" il borgo di S.Giusto.
Alla fine dell'ottocento e nel primo trentennio di questo secolo nella zona di borgo S.Lazzero è sorto il grande complesso dell'ospedale psichiatrico, trasformato oggi in moderna struttura ospedaliera, e qui , l’architettura del primo novecento si mescola all’ architettura del periodo .
Intorno al Prato sorgono fin dai primi anni del XIII sec. le prime costruzioni a torre fra cui quella detta del Porcellino, perché, sulla torre sopra una mensola vi è la figura di un porcellino. La torrre diventò in seguito la sede del Podestà. Il palazzo dei Priori iniziato nel 1208 da maestro Riccardo, fu terminato nel 1257 sotto il Podestà Bonaccorso Adimari, come si legge nella lapide appoista sulla facciata.

Intanto, il contrasto tra il temporalismo ecclesiastico e le istituzioni comunali favorì agli inizi del XIV sec. il sorgere di condizioni adatte per l'affermazione di una Signoria e Ottaviano Belforti assunse il ruolo di signore della città. Il governo personale dei Belforti finì miseramente nel 1361, anno in cui, uno dei suoi membri, fu decapitato nella pubblica piazza per aver pattuito la vendita della città a Pisa. Ma la fine dei Belforti fu anche il disastro della città: i fiorentini, venuti da amici per aiutare i volterrani a liberarsi della tirannide, pretesero, come compenso, la custodia della Rocca e l'esclusione dai pubblici uffici di uomini legati in qualche modo a Volterra, ad eccezione dei loro concittadini. La repubblica volterrana, nonostante la formale proclamata indipendenza, divenne suddita di Firenze, che sempre di più mostrava interesse non solo alle ricchezze naturali controllate dalla città, ma anche alla sua ubicazione che poteva costituire un fortissimo baluardo avanzato contro la repubblica nemica di Siena: se ne ebbe una conferma, quando la repubblica fiorentina estese anche al territorio volterrrano la legge sul catasto, contrariamente ai patti convenuti tra due le parti. Seguirono gravi agitazioni di popolo contro la legge e Giusto Landini, patrizio popolare, pagò con la vita la sua opposizione alla politica egemonica di Firenze. Antagonismi di interessi privati, rivalità e invidie, animosità ed avversione di famiglie e di classi, l'interesse personale di Lorenzo dei Medici causarono l'inutile guerra delle Allumiere, terminata con il sacco di Volterra nel 1472, ad opera delle milizie del duca di Montefeltro.

Assorbita nello stato fiorentino, la città fu sottoposta ad un duro trattamento che provocò l'emigrazione di molte famiglie facoltose e la conseguente alienazione dei beni a prezzo di fallimento. Il segno visibile del dominio fiorentino in Volterra è la costruzione tra il 1472 e il 1475 del Mastio, la Fortezza voluta da Lorenzo il Magnifico per controllare contemporaneamente la città e costituire una roccaforte verso il territorio senese

Costruita sul più alto ripiano del monte volterrano, la fortezza è costituita da due blocchi, la Rocca Antica e la Rocca Nuova, uniti insieme da una doppia cortina, coronata da un ballatoio sorretto da archetti pensili (bertesche) il cosiddetto Cammino di Ronda, mentre all'interno forma un vasto piazzale.
La Rocca antica presso porta a Selci, include parti di più antica fortificazione resi visibili da recenti restauri, e la torre di forma semiellittica, detta volgarmente la Femmina, attribuita al Duca di Atene.
La Rocca Nuova fu fatta innalzare da Lorenzo de Medici sul luogo dove esisteva il Palazzo dei Vescovi distrutto dai fiorentini nel 1472. È costituita da ampio quadrato di pietra panchina, i cui angoli terminano in baluardi circolari: al centro si innalza la Torre del Mastio, che si impersona e rende famosa la Fortezza, della quale è la parte più monumentale.
Edificata ad uso militare fu, fin dall'inizio, utilizzata come carcere politico; nelle sue celle passarono sia gli oppositori dei Medici, sia i patrioti del nostro Risorgimento Nazionale.
Oggi ospita reclusi a vita e a tempo, con una sezione di carcere giudiziario

Mentre si operava nelle difese, le grandi famiglie volterrane dettero il via a numerose trasformazioni dei loro palazzi secondo i modelli elaborati dalla cultura architettonica fiorentina. La probabile presenza di Michelozzo nel cantiere del convento di San Girolamo a Velloso (1445) e di Antonio da San Galllo il vecchio, nella ristrutturazione dell’attuale palazzo vescovile potrebbe aver facilitato la diffusione dei modelli fiorentini: case e palazzi conoscono un rimodernamento delle facciate e un adeguamento delle antiche torri al nuovo gusto diffuso dalla città dominante.

Nel 1530, in un'ultima disperata speranza di riacquistare le libertà perdute, Volterra si ribellò ai fiorentini in guerra con i Medici, alleandosi con questi ultimi, ma fu ripresa e nuovamente saccheggiata dal Ferrucci. Restaurati i Medici a Firenze, Volterra perse definitivamente la propria indipendenza, e divenne una delle città dello stato mediceo di cui seguì le sorti; ma con il dominio granducale inizia per Volterra e il suo territorio un periodo di lenta ma progressiva decadenza che si protrarrà fino a tuto il XVIII sec.

Verso la fine del XVIII sec. e nella prima metà del XIX sec. si registrano incrementi nell'agricoltura, nella commercializzazione dell'alabastro e un decisivo miglioramento nei collegamenti viari; l'abitato urbano è oggetto di un generale adeguamento e riordinamento: si ha la costruzione del teatro Persio Flacco (1819), l'apertura della passeggiata dei ponti e della nuova carrozzabile per le saline (1833) nonchè il restauro degli edifici posti nella piazza dei Priori (1846).

Nella seconda metà del secolo, dopo l'unità d'Italia, a parte alcune ristrutturazioni degli spazi all'interno del centro storico per far posto agli uffici del nuovo regno, l'intervento di maggior rilievo è la creazione dell'ospedale psichiatrico (1888). Infine il 13 marzo 1860 con 2315 voti favorevoli, 44 dispersi e 78 contrari Volterra vota la sua annessione all'Italia unita, pagando il suo contributo di sangue sia all'edifiazione dell'unità nazionale nella guerra 1915-18 sia alla lotta di resistenza contro il fascismo. In passato l'economia del terrritorio si basava soprattutto sulla estrazione del rame, dell'allume, dell'alabastro e del sale che venivano lavorati nelle manifatture volterrane ed esportati.
Oggi, con l'emigrazione avvenuta nel secondo dopoguerra, l'industria si basa su piccole aziende artigianali per la lavorazione dell'alabastro, sull'estrazione del salgemma, su qualche industria metelmeccanica e chimica; la popolazione residente dalle 17840 unità nel 1951 è scesa a 13800 nel 1991.
Una delle fonti principali di reddito è attualmente il turismo: Volterra infatti è in grado di mostrare non solo i grandi monumenti che hanno caratterizzato i suoi 30 secoli, e di cui ho accennato solo i più importanti, ma A volterra sono presenti anche importanti musei storico artistici di notevole interesse storico artistico, il Museo di Civiltà Pinacoteca e il Museo Diocesiano di Arte Sacra.

Il museo di Alabastro che attraversoun'accurata selezione di testimonianze, la storia della lavorazione dell'alabastro dagli etruschi ai nostri giorni attraverso un originale viaggio tra gli aspetti tecnici e materiali (il reperimento della pietra e le tecniche di lavorazione), i caratteri stilistici (le forme decorative e i modelli di riferimento), i risvolti economici e sociali (il mercato dell'alabastro e la sua diffusione, la vita dell'alabastraio e l'attività di bottega).
Gli oggetti più significativi sono due cinerari in alabastro di epoca etrusca, due capitelli che rappresentano gli unici esempi di lavorazione di alabastro nel medioevo, una raccolta di pregevoli sculture del Settecento e Ottocento, una selezione di medaglioni in alabastro opera di Albino Funaioli e alcune opere dell'artista volterrano Raffaello Consortini.

Ed uno dei più antichi musei Etruschi d’Europa , il museo Guarnacci


Nacque nel 1761 quando il nobile abate Mario Guarnacci (Volterra 1701-1785) dona il suo ingente patrimonio archeologico, raccolto in anni di ricerche e acquisti, al "pubblico della città di Volterra". La donazione -che comprendeva anche una biblioteca ricca di oltre 50.000 volumi- fu un atto di estrema lungimiranza in quanto, oltre a dotare la città di uno strumento culturale importantissimo, scongiurò il pericolo che l'ingente patrimonio accumulato si disperdesse.

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