mercoledì 24 settembre 2014

Dal Pratomagno a Vallombrosa

Risalendo il fiume Arno, per la vecchia strada , verso Arezzo, incontriamo, un borgo unico, nel suo genere: "Loro Ciuffenna" Un paese , anch’esso, di orgine mediovale, con stradine strette e in salita, ponti antichi, che paiono crollare, se appena li tocchi, e invece sono sicuri nella loro stabilità, si pensi che hanno retto anche alla piena dell‘arno del 1966.…, Da quel paese, parte una strada, denominata: "la panoramica".che porta al Prato Magno a circa 1300 mt di altezza
La strada che porta a questo luogo, è costeggiata da abeti altissimi , che donano, ombra e fresco . Si possono osservare scoiattoli cerbiatti, che ancora saltellano liberi nel bosco. Quando sono in quei posti spesso mi viene da chiedermi "per quanto ancora questi alberi avranno vita?per quanto ancora questi scoiattoli, correranno nelle loro tane? " Poi mi rispondo "Nn lo so, per ora tutto questo c’è ed è possibile, ed è giusto e bello goderne e sperare che esiterà per sempre"…

Ripartendo dal prato Magno e procedendo sull’altro versante, si arriva in Secchieta; un luogo a circa mt 1400 di altezza, nn vi sono alberi di alto fusto, ma solo fiori e piante a cespuglio, o di basso fusto.
Questo luogo ricorda un poco i passi alpini sopra i 2000 Mt. E‘ infatti un luogo sassoso, e con pochissime abitazioni.

Interessante sapere che, poiche è un luogo aperto esposto ai venti, sul suo territorio, vi sono state poste pale eoliche per la produzione naturale di energia elettrica, che alimenta buona parte della zona. . E‘ ancora un metodo in via sperimentale, ma sembra dare risultati positivi.

Per ultimo ma nn da sottovalutare, la presenza di un piccolo bar dove si degustano dei panini al prosciutto, nostrale , accompagnate da un buon bicchiere di vino toscano.

Scendendo , verso valle, si percorre una strada ricca di vegetazione , formata da alberi altissimi, e costegiata da deliziosi corsi d’acqua, e piccole cascate, Durante la strada si incontrano piccole case, in legno. Sparse, nascoste , nella tranquillità, del verde quasi invisibili agli occhi di chi passa di li.
Si arriva così, più a valle, ad un altitudine di 1200 mt e si trova un delizioso paesino, Vallombrosa.

Siamo a circa 35 km da Firenze, coem già accennato ci troviamo sul versante occidentale del Prato Magno, in un‘appendice del‘appenino Tosco Romagnolo. Vallombrosa una delle località , che domina la valle dell’Arno, è rinnomata, per, per i suoi tesori culturali , artistici e naturali, per sua foresta millenaria, e per essere luogo di cultura , di spiritualità, e ricerca.
In particolare in questa zona è in corso una ricerca, sui problemi derivanti all’ecosistema forestale dall’inquinamento atmosferico. In una foresta che è stata costituita un area di studio del progetto CON.ECO.FOR. La foresta è anche luogo di esercitazioni e di studi da parte della Facoltà di Scienze forestali e ambientali dell’Università di Firenze

Il paesaggio che si presenta ai nostri occhi, è il paesaggio dei luoghi montani. Si potrebbe asserire, senza sbaglaire di molto, che i profumi, le sensazioni, che si incontrano , che si sentano, sono le stesse che si godono, immergendosi, nella natura delle alpi. La sola differenza, nn trascurabile, è che alzando gli occhi verso il cielo, mancano le vette alpine, che sembrano con le sue rocce disegnare le più strane forme, mentre delicamente si avvicinano al cielo.

Salendo verso vallobrosa dal versante fiorentino, si può osservare come man mano che saliamo, la vagetazione cambi, e come man mano che si procede, nel cammino , si aggiungano, si sostituascono, nuove specie di piante, alle painte incontrate fino a quel momento . .
Si può ammirare innumerevoli tipi di piante. Si può osservarne il loro intrecciarsi e confondersi, fra varie specie e vari colori, abbinati con maestria. . Incredibile come madre natura, assomigli alla mano, al gusto delicato e sensibile, di un abile un pittore, capace di nn sbagliare mai un abbinamento dei colori e delle varietà..

Delle varie specie di piante che incontriamo, nella riserva naturale, della zona di Vallombrosa , ne nominerò alcune, che sono le più frequenti e consociute, ho ammirato anche altre specie di piante, di cui purtroppo nn ho saputo individuare il gruppo di appartenza, e quindi ho potuto solo ammirare la loro semplicità e bellezza : Erica scoparia (Erica da scope) diffusa nei boschi cedui misti di latifoglie e conifere e nelle pinete di Pino lancio, Rubus idaeus (Lampone), Senecio fuchsii (Senecio di Fuchs), Prenanthes purpurea (Lattuga montana), nelle abetine di Abete bianco, Anemone nemorosa (Anemone), Oxalis acetosella (Acetosella dei boschi), Luzula nivea (Erba lucciola) nelle faggete. In primavera, numerosi altri fiori, quali Crocus albiflorus (Zafferano alpino), Scilla bifolia (Scilla silvestre), Hepatica nobilis (Erba trinità), adornano la foresta di svariati e contrastanti colori.. Castanea sativa (Castagno) in purezza e variamente consociato con Quercus cerris (Cerro), Acer pseudoplatanus (Acero montano), A. platanoides (Acero riccio), A. opulifolium (Acero alpino), A. obtusatum (Acero d’Ungheria), Ostrya carpinifolia (Carpino nero), Carpinus betulus (Carpino comune), Fraxinus ornus (Orniello), Corylus avellana (Nocciolo), Prunus avium (Ciliegio) e con le conifere indicate in precedenza.

Un posto , oserei definire magico, in cui sembra di trovarsi nel cuore delle alpi, si incontra, a pochi km da Reggello , voltando a destra, lungo la strada che porta a Vallombrosa . E' denominato "cascina vecchia". Per arrivarci una strada di montagna nn asfaltata dove , se in macchina, bisogna procedere con cautela, per nn rischiare di spacare gli amortizzatori.

All'inizio, la strada è fiancheggiata da alcune case, poi man mano che si procede gli alberi e la vegetazione prendono il posto delle costruzioni in muratura. Fatti c.a dieci km, ci troviamo in un posto che ci accoglie fra l'ombra, e la frescura di alberi altissimi e fittissimi, un luogo che da il senso dell'infinito e della pace. Sotto vi scorre un piccolo torrente dia cqua limpida , attraversato da un grazioso ponte di legno, e sopra gli alberi, tanti rifugi costruiti dai bambini, che d'estante alloggiano nella fattoria che sorge a pochi mt,
Essa è costruita su un grande paizzale, di proprietà della diocesi di fiesole, è allestita a colonia estiva. Li i bambini vivono per un mese una vita, totalmente diversa da quella che conducono durante gli altri mesi. Alla guida di persone adulte e competenti, si organizzano per vivere una vita all'aria aperta, lontano da televisone , telefono, compiuters. Anche la sera vengono portati a fare piccole escursioni nei boschi alla luce delle stelle, e della luna, se c'è, con l'ausilio solo delle torce. Mia figlia mi raccontò che era rimasta colpità dai diversi rumori, che vi erano nel bosco durante il giorno e durante la notte.

La sera si coricavano dentro un sacco a pelo. La mattina dopo alzati una sana colazione e poi via a vivere la montagna come deve essere vissuta. Poi al loro ritorno una bella sana mangiata. I ragazzi si alternavano in cucina a servire a tavola e a pulire, persino il pane facevano nel grande e meraviglioso forno a legna di cui il posto era dotato. insomma un posto da mille e una notte.
Dalla cima più alta , si poteva ammirare, da un lato le cime del prato magno, e dall'altra la valle dell'arno,. Se si guardava lo spazio davanti a noi e si protendevano le braccia in avanti , con la mente si poteva sognare di fare un tuffo nel vuoto, per ritrovarsi nella città del poeta, che alcuni hanno definito "divino" altri "maledetto"

Ritornando poi sulla strada provinciale, e continuando a salire verso vallombrosa , rincontriamo gli stessi tipi di vegetazione che si alternano nella parte della riserva naturale , di cascina vecchia, sempre facente parte del comprensorio di Vallombrosa. . Troviamo Abies alba (Abete bianco), che occupa oltre il 50% del territorio della riserva, è un tipo di abete molto resistente alle inteperie, purtroppo però la sua resistenza nn è stata tale, riguardo alle piogge acide, provenienti dalla vicina centrale di Santa Barbara, che produceva energia elettrica, attraverso la combustione del carbone. Ora che, da qualche anno la centrale, è stata chiusa, queste piogge sono cessate, e gli abeti , come tutta la vegetazione della zona, hanno ripreso un po’ del loro antico vigore, .Gli alberi , accanto ai rami ormai secchi, stanno ributtando nuovi talli verdi, questo è come segno di speranza per questa foresta, anche se certamente ci vorranno decenni prima che la natura rimedi all’azione distruttrice dell’uomo, sperando che nel frattempo, nuove piogge inquinanti nn fermino la lenta e paziente azione ricostruttrice della natura. Vi sono alberi che hanno adirittura un secolo di vita. Ed , anche se stanno riprendendosi è cmq triste vederli ridotti a metà del loro antico spendore.

All’abete bianco seguono le vegetazioni di Fagus sylvatica (Faggio), estese nelle zone più alte, di Pinus laricio (Pino laricio), di provenienza calabrese, presenti, soprattutto, alle quote inferiori, e di Pseudotsuga menziesii (Douglasia o Abete americano), di origine nord-americana, i cui maestosi esemplari (alcuni di altezza superiore ai 50 m) svettano tra le fustaie di Abete bianco.
Una particolare curioso e da un certo lato, può dirsi : affascinante .è osservare ai piedi di questi secolari e maestosi alberi, le loro radici, che nel tempo sono fuori - uscite dal terreno formando dei perfetti intrecci , che hanno dato luogo ai disegni più vari
La zona di Vallombrosa è costeggiata da un piccolo torrente , denominato : "Borro di Lagacciolo", che è poi quello che scorre sotto il delizioso ponte di "Cascina vecchia".

In questa zona vi sono numerose piccole cascate di acqua limpida e fresca che scendono dalle cime più alte dell’appennino, cascate ricche di acqua nei periodi invernali e primaverile, o comunque delle piogge, ma haimè secche nei periodi estivi.

Di Vallombrosa è rinnomato anche il suo prato, una distesa verde e ben tenuta, che sembra avere la funzione di un solario naturale, con qualche piccolo arbusto qua e là, al limitare di un bosco dove gli alberi, sono talmente fitti da dare un ombra , un silenzio, una quiete, quasi irreali

La località, è ancora più gradevole in primavera, quando una notevole varietà floristica , ricopre i boschi e i prati , facendo da cornice al mondo, inoltrato nel fitto bosco, avente un atmosfera che ricorda il mondo dei racconti dei folletti e fate…

Nn per ultimi ,né per importanza né per la loro presenza in numero e varietà, troviamo ,altri deliziosi e simpatici abitanti dei boschi. Sono muniti di capello, ora variopinto .ora a tinta unita, ora screziato, e ad alzarli quel tanto che basta terra, un gambo. Sto parlando dei funghi .
Nei periodi di pioggia ,seguiti da giornate soleggiate, nascono a centinaia sotto gli alberi, è infatti ormai una gradevole abitudine vedere aggirarsi per quei boschi , uomini e donne, vestiti in maniera semplice , col loro cestino in mano, e gli occhi fissi sul terreno a scovare la presenza di qualche simpatico amico, da cogliere per cucinare un buon primo a base di tagliatelle con panna e funghi, seguito da un secondo di scaloppine ai funghi accompagnate da dei buoni porcini fritti al bacio.

Poi vi sono coloro che cercano funghi nn solo per cibarsene ma anche per studi e ricerche, questa è un’altra specie umana, che necessiterebbe di ulteriori seri approfondimenti. Però a dire il vero, quando , vestiti con un completo di cacciatore, il cestino in mano sono chini con gli occhi sul terreno a cercare un piccolo funghetto pronto a farsi cogliere con gentilezza e grazia, sono uguali ai semplici cercatori di funghi, e come essi , la loro figura intenta alla ricerca di quei piccoli amici, infonde nel cuore una sensazione gradevole e amica. Forse sarà, il vestito, forse sarà quel cestino, che allegramente portano sul braccio, forse sarà il sorriso di chi fa qualcosa , senza pretese, ma solo con passione, forse sarà la magia di camminare in quei boschi , fra silenzio, quiete profumi, e voglia di semplicità…forse, forse, nn so, ma lì, un micologo nn si distingue da un contadino, o un operaio , uscito al mattino per cercare i funghi commestibili, magari ricordando l' antico insegnamento del nonno che pazientemente tanto tempo fa, gli insegnò come fare a distinguere un fungo mangereccio da uno nn commestibile…..anche questa è la magia del bosco…..e delle sue cose semplici

Oltre a tutto quello , illustrato fino ad ora, nella riserva esiste uno tra i più noti arboreti sperimentali d’Europa, in cui convivono, in mirabile equilibrio, più di 3.000 esemplari di oltre 1.300 taxa, appartenenti ad 85 generi, provenienti da diverse parti del mondo

Uno dei primi arboreti sperimentali fu nel 1870, istituito da Adolfo di Berenger, primo direttore dell'Istituto Forestale, in un piccolo appezzamento della Tenuta di Paterno dove sorgeva la prima sede dell'Istituto stesso. Successivamente, con il trasferimento dell'Istituto Forestale nell'Abbazia di Vallombrosa, nel 1884 Vittorio Perona (assistente del Berenger) trasferì i piccoli esemplari di piante in un piccolo appezzamento di terreno adiacente dedicandolo a Giovanni Carlo Siemoni, studioso di selvicoltura.

Nel biennio successivo l'arboreto di ingrandì fino ad occupare più di 4 ettari di terreno prativo attiguo e questa nuova sezione fu intitolata "Tozzi" dedicandola all'abate vallombrosano Brunone Tozzi, studioso di botanica. Nel 1891 una piccola parte del vivaio arboreto fu destinata dal prof. Solla ad orto botanico e venne dedicata a Berenger, ma con il trasferimento dell'Istituto Forestale a Firenze l'orto botanico venne abbandonato: nel 1894 venne realizzato da Perona l'arboreto di "Masso del Diavolo" e fu dedicata a Romano Gellini. Questo arboreto è particolare perché fu costruito in una zona riparata dai venti di tramontana ed esposta a mezzogiorno ed in essa allignano specie arboree ed arbustive esigenti in calore che difficilmente si poteva pensare di coltivare a 1000 m. sul livello del mare

Fino al 1940 l'arboreto fu curato con regolarità ma durante la guerra fu sospeso ogni intervento fino a che nel 1970 fu considerato abbandonato visto il sopravvento che aveva preso la vegetazione naturale, ma nel 1976 l'arboreto fu ripristinato dall'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo con il pieno appoggio dell'Amministrazione delle Foreste e la collaborazione dell'Istituto di Botanica Agraria e Forestale dell'Università di Firenze. La superficie del "Masso del Diavolo" è di circa 3 ettari ed è posto a una quota che va dagli 850 ai 950 m. s.l.m. e comprende piante tipiche anche della macchia mediterranea grazie al clima più mite rispetto alla foresta che lo circonda

Fra le specie presenti Acer Peronai, Cistus laurifolius, Quercus ilex, Cupressus sempervirens, Pinus, Nothofagus, Araucaria. Tornando agli arboreti principali bisogna dire che nel 1896 la costruzione della strada per il Secchiata interruppe la continuità degli arboreti Tozzi e Siemoni: nel 1911, sempre a cura del Perona, fu costituito il "saliceto Borzi" riservato alle specie più bisognose di umidità ma oggi, purtroppo, non più visibile e allo stesso Perona fu dedicata una nuova sezione dell'arboreto. L'attività di studio e di ricerca riprese alla fine della prima guerra mondiale con la costituzione dell' "Arboreto Nuovo" per opera del nuovo amministratore della Foresta demaniale prof. Pavari e questo segnò l'introduzione a Vallombrosa di specie esotiche; dal 1929 le collezioni, fino ad allora affidate alla cattedra di selvicoltura dell'Università di Firenze, passarono alla direzione della stazione sperimentale di selvicoltura oggi Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo.

Nel 1934 fu istituito un museo dendrologico con lo scopo di valorizzare gli arboreti e mettere a disposizione degli studiosi materiale per le loro ricerche ma nel 1944, a seguito di un bombardamento, il museo dendrologico, la palazzina e l'arboreto subirono gravi danni ai quali si aggiunsero, nell'inverno successivo, altri danneggiamenti provocati da militari e civili: solo nel 1948 fu ripristinata la recinzione e riparata la canalizzazione delle acque, non più funzionante dal tempo della guerra. Nel 1970 il numero degli esemplari rilevato era di circa 3000 piante di oltre 1200 specie mentre oggi le piante sono oltre 4000.

Agli arboreti sono state attribuite molteplici funzioni : didattiche , scientifiche , sanitarie, ornamentali, di conservazione. Nel tempo vi è stata un evoluzione culturale del concetto di arboreto, Infatti per i pioneri della dendrologia, ( Di Berenger , Perona, Tozzi) , di cui è stato accennato sopra, l’interesse primario nel realizzare la collezzione di vegetali era quello di rendere disponibile una serie di specie, prevalentemente esotiche , da studiare soprattutto, in vista di un loro possibile impiego in selvicoltura o a fini ornamentali . Col sorgere della prima scuola forestale ( Pavani) , assunse maggior importanza il ruolo didattico, per quel momento riservato agli adetti del settore . Col passare del tempo gli arboreti si sono poi aperti ad un pubblico sempre più vasto ed articolato , composto soprattutto da gente di città che cerca di ristabilire un contatto con la antura . Il ruolo quindi passa da didattico ad educativo in senso alto.

L’evoluzione della società industriale , con tutti i malanni ambientali che si sta tirando dietro, ha fatto emergere una fondamentale funzione : quella di conservazione di tante specie minacciate dalle attività dell’uomo , sia direttamente che indirettamente ( deforestazione, mutamenti climatici, inquinamento ecc)
L’interesse scentifico per gli Arboreti di Vallombrosa è sempre stato notevole , in virtù delle possibilità offerte allo studio e comparazione di tante piante allevate in condizioni simili. Ma se un tempo si guardava essenzialmente alle possibilità di ambientamento e di sfruttamento produttivo delle varie entità, oggi la ricerca mira soprattutto a determinazioni genetiche, studi di ecofisiologia, patologia. Come la fondamentale importanza di conservare e sfruttare corredi genetici che rischiano di scomparire. Sono considerati facenti parte del complesso degli arboreti di Vallombrosa anche i castagneti sperimentali, che contano oltre 1500 piante con una amplissima serie di varietà e specie che vanno a sommarsi ad una collezione di oltre 4000 esemplari riconducibili a più di 1500 specie forestali ed arbustive.


La civiltà industriale ha soddisfatto i bisogni essenziali di larghe fasce di popolazione , ma ha anche creato condizioni di vita stressanti , frenetiche, malsane, innaturali. Condizioni che portano a una povertà di contenuti spirituali, e di sentimenti. L’uomo cerca allora di riqualificare la propria esistenza , di dare tono agli anni che deve passare su questa terra , anche e soprattutto a quegli ultimi che ha artificialmente aggiunto alla longevità di un tempo. Ecco dunque gli arboreti presentarsi come centri polifunzionali dove l’uomo può attingere a formidabili risorse per la qualità della propria vita, sia materiale che spirituale.

Spostando adesso l'attenzione dal mondo vegetale, posiamolo su quello animale o faunistico.
Nn mancano , i deliziosi abitanti dei boschi, che difficilmente si fanno vedere all’occhio umano, ma che osservano incuriositi, dal limitar del bosco , i movimenti di quegli esseri che forse a loro paiono curiosi, e strani: gli uomini
La fauna si trova qui , numerosa e discretamente rappresentata.
Tra i Mammiferi, si annoverano Capreolus capreolus (Capniolo), Dama dama (Daino), Sus scrofa (Cinghiale), Lepus capensis (Lepre comune), Meles meles (Tasso), Myoxus glis (Ghiro), Sciurus vulgaris (Scoiattolo) e Vulpes vulpes (Volpe);
tra gli Uccelli, oltre alle comuni specie migratorie e stanziali, fanno spicco Garrulus glandarius (Ghiandaia), Buteo buteo (Poiana), Falco tinnunculus (Gheppio), Bubo bubo (Gufo reale) e Athene noctua (Civetta). Per l’ittiofauna è da segnalare Salmo trutta forma fario (Trota fario
Scomparse da un poco di tempo le farfalle ,che un tempo erano presenti numerose, e della specie più varie, rallegrando coi loro colori il verde dei boschi.

Vallombrosa nn è solo lo scrigno dei tesori naturali, in fatti in questa piccola località sorge una delle più belle e rinoamte abazie d'Italia..

L'abazia sorge ai margini della statale, che da vallombrosa porta :, voltando verso destra al passo della consuma,dove ci si arriva per una strada, tranquilla e ombrosa, lungo la quale si incontrano numerosi laghetti e nn trascurabili luoghi di ristoro dove si puossono gustare deliziosi piatti toscani, o anche accantontentarsi di appetitose merende. Proseguendo, invece a diritto, si imbocca la strada anch'essa, pare scavata all'interno di un bosco, che conduce verso valle.

Su questa strada, incontriamo un cancelletto di ferro, che delimita l'ingresso al viale, che porta all'ngresso dell'abazia. Il viale è fiancheggiato da due file di siepi parallele che nascondono due giardini , unici nei di quel luogo: i due spazi verdi nn sono ne coltivati ne tantomeno curati.

Procedendo per il vialetto si arriva a una sontuosa porta di legno, che si erge davanti a noi, e conduce nel cortile antistante la chiesa. Appena entrati due deliziosi vasi di ortensie bianche danno il benvenuto. Entrando nel cortile della chiesa, possiamo osservare raffigurate molte immagine sacre , vi è anche un'immagine in pietra che merita di essere rammentata, è l'immagine di Dante, "poeta divino"

Entrando in chiesa ci troviamo davanti un interno arricchito da dipinti, affreschi, e ornamenti in oro, Due capelline, una per le confessioni e una dedicata alla madonna ,si trovano alla ns sinistra entrando. Prosenguendo vs l'altare e guardando in alto possimo ammirare un organo, il cui suono viene riprodotto molto bene dalla perfetta acustica della chiesa. ( riporto la foto, anche se molto buia).

Ritornando all'esterno, sulla nostra destra uscendo troviamo un luogo dove si possono acquistare dei souvenir del luogo

Ed ora un modesto e breve accenno sulla storia di Vallobrosa, dei suoi monaci , e della loro abazia

Verso il 1036 il fiorentino Giovanni Gualberto della famiglia dei Visdomini, dopo aver abbandonato insieme ad un compagno il monastero di San Miniato, giunse nel luogo, detto allora, Acquabella nel fitto di una foresta di castagni , faggi e abeti dove già i monaci Paolo e Guglielmo conducevano vita eremitica. La selva prese ben presto il nome di Vallombrosa e al primo piccolo gruppo di monaci si aggiunsero nuovi adepti. Verso il 1045 i confratelli elessero Giovanni Gualbertocome loro superiore mentre alla comunità si univano altre fondazioni in un corpo giuridico che formò col tempo la " congregazione monastica di Vallombrosa"

Le norme di convivenza seguivano la regola di san Benedetto vincolando i monaci nella povertà nalla preghiera, nel lavoro e nell'ospitalità

Alcuni eremiti dipendenti del cenobio ma desiderosi di una maggiore intimità con Dio vivevano in solitudine nella foresta in piccole celle o in anguste grotte ancora esistenti. Il monastero di vallombrosa continuò ad ampliarsi e divenne potente per le donazioni di vaste proprietà. La badia acquistò ben presto l'aspetto di un grandioso fabbricato, ( infatti la prima impressione che si ha nel vederla è di imponenza e grandezza) e fu in grado di accogliere una numerosa comunità dare ricovero ai pellegrini , ospitare illustri personaggi con il loro seguito. Originariamente si deve ai monaci la straordinaria richezza della vegetazione, base fondamentale degli studi forestali.

Il sacheggio del monastero compiuto sai soldati di Carlo V nel 1529, la soppresione napoleonica nel 1808 ed infine , nel 1866 lo sfratto e l'esproprio votato dal prlamento italiano, produssero notevoli danni. Nel 1949 i monaci poterono rientrare nell'abazia ma soltanto dal 1961 l'intero complesso di proprietà dello stato , è tornato alla disponibilità della comunità . Vallobrosa però riesce a dare un'altra immagine della sua storia, quella che si forma quando si passeggia sotto le "alte volte" della sua foresta lungo un suggestivo percorso disseminato di cappelle tabernacoli e antiche fonti a far da cornice alla maestosa abazia.

L'abzia come appunto già detto fu costruita per impulso di san Giovanni Gualberto. dopo un primo oratorio costruito in legno la comunità vallombrosana potè passare a una chiesa in pietra ( 1058) sostituita da un edificio più ampiù negli anni 1224-30, mentre anche il monastero stava prendendo corpo e volume. Dopo una fase di grandi lavori nel XV secolo, cui si devono il chiosco grande e sacrestia, la torre il reffettorio con la cucina, e dopo una lunga serie di incendi e ricostruzioni è nel seicento con ulteriri perfezionamenti nel primo settecendo , che la chiesa assunse un aspetto omogeneo e sontuoso . All'asterno il complesso mantiene tutt'oggi, col suo campanile del XII SECOLO, e la torre del XV secolo, un carettere autero e elegante, fin dal grande piazzale, circondato da alte mura , cui si accede da un bel cancelletto, di cui ho acennato più sopra, del 1773.

La facciata del monastero si deve a Gherardo Silvani ( 1637), che itervenne proseguendo l'opera di Alfonso Parigi, su disegno dell'abate Guglielmo Rasi venne edificato il complesso di fabbrica con una loggia antistante dove si trova la statua del santo fondatore del primo 600. Gli stemmi sono quelli raffigurante i Medici, e vallombrosa quest'ultimo raffigurante un bastone a forma di Tau.

L'interno è a croce latina presenta un'omogenea connotazione barocca affidata alla ricca decorazione ad affresco delle volte (1779-81) Antonio Fabbrini, e una serie di altari con tele del sei e settecento, a cominciare dalla aprete di fondo del coro, dove è posta l'Assunta del Volterrano, l'altare del Transetto a sinistra con la trinità di Lorenzo Lippi e altri altari sui qauli si trovano opere che esaltano i santi vallombrosani. Da ricordare anche "la conversione di Sauro" di Cesare Dandini. Notevole anche la capella dedicata a San Giovanni Gualberto.Pregevole è anche il coro lignco, dietro l'altar maggiore, opera di Francesco Poggibonsi (1444-46)

Altre sone di particolare interesse sono la sagrestia rinascimentale , nella quale sono esposte una tavola di Raffaellino Del Garbo, raffigurante Giovanni Gualberto e altri santi (1506) e una grande pla di terracotta, invetriata dalla bottega di Andrea della Robbia.; il refettorio con una serie di tele eseguite da Ignazio Hugford (1745); attraverso antirefettorio, si passa nell'amolia cucina ornata da un camino in pietra serena del ( 1786)

Davanti all'altare maggiore arde una lampada votiva il cui olio è offerto annualmente, regione dopo regione, dai forestali di cui San giovanni Gualberto è patrono. Detto olio viene consegnato con una suggestiva cerimonia, ogni 12 luglio, giorno dell'anniversario della morte del santo

Da Vall'ombrosa, se volessimo proseguire il nostro viaggio nn che potremmo dirigirsi che ..verso Firenze. Una città che molti poeti hanno definito magica e di sobria bellezza. Firenze una città, dal sapore speciale, dove ancora le carozzelle trainate da cavalli, vanno lentamente a spasso per le vie della città, traversando i ponti dell'arno, dove l'acqua nn è più d'argento, dove le auto hanno un po' rotto la magia che c'era al tempo in cui per le stradine strette risunavano il rumre degli zoccoli dei cavalli, le voci dei bambini, e di quelli che ormai bambini nn lo erano più, ma che ancora potevano godere sapori genuini e profumati di una città. Sapori che ora riesci a ritrvare , solo nel cuore ,se su una carozzella con gli occhi chiusi e il cuore pieno del sogni di un isola che nn c'è più, te vai per le strade di Firenze........"come è bello andare sulla carolla, sulla carozella sotto braccio alla mia bella....", o passeggiando, la sera , sui lungarni, col gli occhi rivolti all'insù , per scorgere una piccola stella che si tuffa nell'acqua del fiume, a regalare , un sogno una speranza in più....






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