sabato 2 maggio 2015

Usi e costumi dei fiorentini (seconda parte)



I fiorentini pur essendo gente sobria , era anche di “molti costumi grossi e rudi”, come dicevano Giovanni Villani e Dante , si compiacessero in modo particolare degli spettacoli pubblici, risulta che quasi tutti gli storici ci hanno lasciato di cortei, mascherate, cerimonie, e gualdate, e dai numerosi ricordi che ancora sussistono , qua e là, per Firenze. . I fiorentini, avevano un indole gaia ed un temperamento artistico, che li portava a dilettarsi di tutte quelle manifestazioni nelle quali il brio popolano poteva unirsi ai vari aspetti della coreografia.

Da ricordarsi, sono certamente le feste fiorentine, delle quali vi è un prezioso volume di Pietro Gori, intitolato appunto : “le feste fiorentine”.
Una di queste feste, pubbliche finì in un orribile catastrofe, questa festa fu data nel emse di amggio del 1304 sul Ponte alla Carraia.

Come tutti i ponti della città anche questo ha la sua breve storia.
Anticamente fu denominato Carra o Carraia, da una porta che immetteva nel Borgo Parione. Fu edificato, parte in legname , parte in altro materiale, a spese dei frati umiliati che risiedevano in Borgognissanti. Il ponte fu costruito, per facilitare l’introduzione della lana che si alvorava nel rione, dove l’arte era stata introdotta dai frati stessi, circa uns ecolo prima.

Nel 1218 ne fu posta la prima pietra, e fu compiuto in due anni ad opera di un certo frate: Lapo.
Nel primo tempo tempo si chiamò ponte nuovo, per contrapposto all’altro: il vecchio, unico essitente sull’Arno.
La piena del del 1264, lo travolse del tutto, ma fu subito ricostruito da fra Sisto e fra Ristoro, eccellenti architetti. Anche questa volta fu edificato in legname, e fu proprio su questa seconda costruzione che si celebrò la festa tragica. Il ponte rimase saldo fino al 1333, quando la piena lo rovinò in modo spaventoso. Tornè a riedificarlo , una terza volta , fra Giovanni Ciampi, ma nn ebbe fortuna, perché un’altra piena considerevole quella del 1557, lo travolse in parte demolendone due arcate. L’Ammanati nel 1559, lo riparò, però rimase stretto e poco adatto al libero transito dei veicoli.
Fu poi nel 1867 che venne ampliato e munito di spalette metalliche come si può vedere oggi.

In tempi nn molto lontani, sulla collina , a settentrione del ponte, si erigeva una chiesetta dedicata a Sant’ Antonio, di spettanza della nobil famiglia Ricasoli, abbattuta questa fece costruire una sua residenza in prospetto al ponte nuovo, in modo che il palazzo avesse maggior risalto. Qualche anno fa, in quella che fu la residenza dei Ricasoli, vi furono in seguito, ospitati più volte sovrani stranieri.

Veniamo ora, alla narrazione della terribile festa dell’inferno. Gli abitanti di borgo San frediano , volendo gareggiare con quegli degli altri rioni , che già avevano organizzato feste e spettacoli in occasione del calendimaggio del 1304, ricorsero al famoso, Buffalmacco, celebre per le sue stramberie, affinchè ideasse per loro qualcosa di straordinario. Egli progettò di rappresentare nell’arno uno spettacolo dell’inferno , con macchine da incendiare e un gran numero di diavoli.

Giovanni Villani , riferì sobriamente , ma con la precisione che pregio nel suo stile, il fatale avvenimento:

“ In questo medesimo tempo che il cardinale di prato era a firenze, ed in amore del popoloe dei cittadini, sperando che mettesse pace fra loro. Per lo Calen di Maggio 1304, come al buon tempo passato del tranquillo e buono stato di Firenze si usavano le compagnie e brigate di sollazzi per la citta’. a gara l’una contro l’altra, ciascuno chi meglio sapea e potea: infra le altere , come per antico avean per costume . Quelli di borgo San Friano di fare più nuovi e diversi giochi, si mandava un bando per la terra che chiunque volesse saper novelle dell’altro mondo . Dovesse essere il dì di Calen di Maggio, sul ponte alla Carraia, e intorno all’Arno. E ornarono in Arno sopra le barche e navicelle con fecondi la somiglianza e figura dell’inferno, con fuochi e altre pene e martorì , con uomini contraffatti e demonia orribili, a vedere; e altri avevano figura di anime gnude, che parevano persone . E mettevangli in que diversi tormenti, grandissime grida e strida , e tempesta , la qual parea odiosa e spaventevole a udire e a vedere; e per nuovo gioco vi trasse a vedere molti cittadini. Il ponte alla carraia, il quale era allora di legno, da pila a pila, si caricò sì di gente che rovinò più parti e cadde con la gente, e vi morirono in molti, molti si fecero male, sì che il giuoco delle beffe e del terrore, avenne davvero , com’era il bando; molti per morte ci andarono a saper novelle dell’altro mondo con grande pianto e dolore di tutta la città, che ciascuno si credea di aver perduto figliulo e fratello. Giacchè siamo sullo storico fiume, si ricordi il di’ 10 gennaio 1490, ghiacciò l’Arno, che epr tre dì vi si fece la gara alla palla a calcio .

Un’altra enorme ghiacciata avenne il primo dicembre del 1540, essa durò diversi giorni, tanto che concesse ai fiorentini che il giorno del 13 dicembre, i giovani vi facessero il calcio.

Cinquantacinque anni dopo , “la storia del fiume che nasce in Falterona” registra una ghiacciata ancora più forte delle precedenti, che offe modo , di celebrrvi uan festa che , sarebbe stata grande e magnifica, nn sul ghiaccio ma sull’arena di qualche circo.

Il luogo destinato fu lo spazio tra ponte a Santa Trinita e quello della Carraia. Il corpo di guardia dove i cavalieri si abbigliavano e si disponevano erano gli archi del ponte a santa Trinita, coperti da tende.

Quando furono accomodati cominciarono la mpstra uscendo di sotto al primo arco verso Spirito con quest’ordine: andavano avanti sei tamburini e dopo di loro sei trombetti nobilmente vestiti, poi veniva un gran numero di vestiti da carnevale, e alla comica per correre un palio a piedi ignudi. Dietro questi veniva altro numero di vestiti a Ninfe sopra certe seggiole rase, alte circa un braccio, acconciativi a sedere con le gambe alte distese a maniera gottosi, che con due bastonetti appuntiti in mano si sospingevano avanti , sdrucciolavano in modo di storpiati, che faceva una bellissima e ridicola vista, il servirsi delle braccia e delle gambe per stare in una posizione così stravagante. E moltiplicava le risa, che nn ne potevano , o apevano fermarsi, senza saltar fuori della seggiola. E far sconcia, ma nn dogliosa caduta. Venivano in ultimo i signori apparecchiati per giostrare sopra certi carri bassi e lunghetti , che chaimavan slitte . Erano dsiegnate a modo di quadriglie antiche , al posto delle ruote avevano, come delle lame di rame per un facile sdrucciolo, ed erano tirate davanti a foggia di carrozze o di barchette con alzaio. Sopra la slitta era accomodata una sella che nn siv edeva , e sopra essa sedevano i cavalieri per potersi emglio valere della vita; talchè ella avea nell’andare, e del comodo di cavallo, di cocchio e di barca…Dopo avere rotto 15 o 20 lanciere uno fecero al fola, che riuscì molto bene.

Da qeusti sommari accenni si rileva l’indole fiorentina, propensa ai divertimenti, e se indaghiamo, un po’ più sottilmente attraverso i secoli , facilmente possiamo constatare come nn sia oggi diversa quella di seicento anni fa. Nella psicologia del nsotro popolo entra n gran parte l’elemento curiosità , contemprato da uno cettismo bonario, ond’è che qualla gran testa di Mr Arnet de Voltaire nn poteva meglio definire Firenze chiamandola l? Atene dell’Italia. Nn so se i gli ateniesi correrebbero oggidì aAlcibiade, per vedere il suoc ane con la coda tagliata.

Ma forse aveva ragione , il Niccheri poeta e letterato, disturnando all’improvviso con un suo compagno pistolere, che glia veva dato una battuta su la curiosità dei fiorentini, agrutamente , sebbene un po’ troppo malignamente , gli rispose con questa ottava .

Furon sempre così, che ci vuoi fare?
Gente curiosa e amica del diletto;
Nessuno al mondo li potrà cambiare,
E la curiosità nn è difetto.
E’ curioso chi ha voglia di imparare,
E chi un n’impara nn è mai perfetto,
Voi pistoleri siete poco avanti ,
Perché meno curiosi e più ignoranti

Nella Firenze antica nn mancarono certo: fasti , nefasti della moda
Quando per le vie del centro , nelle ore in cui vi era movimento di folla, più intenso. Nei vicoli e epr il corso passavano sciami femminili, con un infinita varietà dei colori ceh el donen moderne sfoggiavano dei loro abiti leggeri e succinti, nei cappellini elganti e nelle guarnizioni.
A tempo mio per veder tanta straordinarietà cosmica bisognava aspettare il carnevale. Si tanto al corso delle maschere si poteva assistere una simile esibizione di tinte che vanno da quelle dello spettro solare a tutte le loro possibili combinazioni.
Osservando questo spettacolo, più volte mi son chiesto che csa ne penserebbe un fiorentino del 1200, per esempio quel gentiluomo di Bellincion Berti. Dal quale discesero i conti Guidi, e che il capo della stirpe degli Alighieri, Messer Caccaiguida, ricorda al lontano nipote nel XV canto del paradiso, assicurandolo di verlo veduto “andar cinto di cuoio e d’osso” , mentre la donna sua si toglieva dallo specchio senza avere il volto pasticciato di balletti e di cipria. E’ ben vero che quello era il tempo in cui Firenze “ si stava in sobrietà e pudicità” e

Non avea catenella , nn corona
Non donne contigiate, nn cintura
Che fosse a veder più che la persona

Certo il Bellincione dovrebbe strabiliare se si pensa che a tempo suo la moda del vestire era di una semplicità e di un’uniformità assolute.

Allora i cittadini di Firenze, scrive giovanni Villani , vivevano sobri, e di grosse vivande, e con piccole spese, e di molti costumi grossi e rudi; e di grossi panni vestivano loro, e le loro donne. E molti portavano le pelli scoperte senza panno, con berette in capo, e tutti con usatti ( stivaletti grossi) in piede.

E le donne fiorentine co’ calzari senza ornamenti; e passavansi le maggiori di una gonnella di rosso scarlatto, cinta ivi su di uno scheggiale ( cintura con fibbia) all’antica, e un mantello foderato. Le donne comuni andavano, invece con un grosso panno di lana verde.

Un secolo dopo incominciò il lusso nel vestire e la leziosità negli ornamenti perché come dice, Macchiavelli “ gli uomini e le donne senza aver riguardo al vivere civile, o alcuna vergogna ; copiarono le foggie dei francesi venuti als eguito del Duca di Atene quando costui fu chiamato a difendee la città insediata dalle armi dei lucchesi”

Il Villani da fedele storico, ci dà questi particolari sulla moda del tempo: “ E nn è da lasciare di dar menzione di una sfoggiata mutazione di abito, che ci recarono di nuovo i Franceschi , che vennero al seguito del Duca di Firenze. Che colà dove anticamente il loro vestire era il più bello, nobile e onesto, che niuna altra nazione al mondo de’ togati romani ; così si vestivano i giovani una cotta o gennella corta e stretta , che nn si potea vestire senza l’aiuto d’altri, e una correggia come cinghia da cavallo con sfoggiata fibbia, e puntale, e con isfoggiata scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il cappuccio col battolo fino alla cintoia; e più che era , cappuccioe mantello con molti fregi e intagli; il becchetto del cappuccio lungo lungo fino a terra per avvolgere il capo per lo freddo e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri in arme. Icavalieri vestivano sorcotto ovvero guarnaccia stretta, ivi suso cinti, le punte di manicottoli lunghi fino a terra foderati di valo e die rmellini. Questa istranziata d’abito nn è bello, né onesto fu di presente presso giovani di firenze e per le donne giovanili disordinati manicotti.”

Più tardi, sulla prima metà del 500 la modo era ancora più evoluta.. un’altra efficace descrizione della maniera del vestire fiorentino fu la descrizione che fece Benedetto Varchi. Questa volta l’esempio venne da due cardinali: Giulio de’ Medici e Silvio Passerini.

“ l’abito de’ fiorentini, passato il diciottesimo anno è, la state quando vanno per la città, una veste di rascia nera, lunga fin quasi ai talloni, e a’ dottori ed altre personalità più gravi , senza quasi, soppannati di taffettà, davanti una striscia di tabè di colore nero separata, dinnanzi e ai lati , dove si cavavan fuori le braccia , ed incresputa da capo, tenuta ferma sotto la gola, da una forcella o da dei nastri, o passamani di di fuora, quale veste si chiama lucco, è di portatura comoda e leggiadra: il qual lucco i più nobili e più ricchi portano ancora il verno ma foderato, ma o foderato di pelli o soppannato di velluto, e di sotto chi porta un saio, e chi una semplice vesticciola di panno . In capo una berretta di panno nero, leggerissimamente soppannata con una piega ditro, che si alscia cadere in guisa , e si chiama beretta alla civile.

Il mantello è una veste lunga perlopiù infino al collo del piede, di colore ordinariamente nero, anorchè i ricchi e i nobili.
La notte nella quale si costuma andar fuori assai, s’usano in capo i tocchi, e in dosso chaimate la spagnola cioè con la cappuccia dietro. Chi la prota nche di giorno è reputato sciocco e uomo di cattiva vita. Chi cavalca, porta o cappa o gabbano, o di panno o di rascia e chi va in viaggio feltri: onde bisogna stare provveduto di tante maniere si spende assai nel vestire al che si aggiunge la domenica mattina, la camicia, che oggi usano increspate dal capo alle mani, tutti gli altri panni della settimana insino ai guanti, al cintolo ed alla scarsella si mutano”.

Gli abiti per le nozze e per le altre sollenità erano differenti al pari di quelli per la campagna, e quelli per il lutto. In questi casi si adoperavano panni neri: come ne fa ede il boccaccio nella sua novella Di Tedaldo degli Elisei, creduto morto.

Per il lusso delle donne convenne alle leggi epr frenarlo, tanto si faceva rovinoso per la pubblica economia. Però fu tempo perso, perché anche allora le donne ne sapevano una più del diavolo, e trovavano mille modi epr eludere i bandi e burlarsi dei giudici. Quanto racconta Franco Sacchetti, ne è la prova evidente, tanto più si tratta di un aneddoto del tempo in cui era egli rpiore della repubblica

Il giudice messer Amerigo degli amerighi fu chiamato dalla Signoria ad applicare con la massima severità la legge sugli abbigliamenti; ma per quanto facesse del suo meglio , poco o nulla concluse, ond’è che fu richiamato dai magistrati ed aspramente rimproverato della sua insufficenza.

Senza scomporsi egli rispose: “signori miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato per appartare ragione; e ora, qaund’io credea sapere qualche cosa, trovo ch’io so nulla; perpcchè cercando degli ornamenti divietati alle vostre donne , per gli ordini che mi avete dati, siffatti argomenti nn trovai mai ina lcuna legge , come sono quelli che elle fanno, e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni: E’ si trova una donna col becchetto frastagliato, avvolto sopra al cappuccio il notiaio dice : datemi il nome vostro, perocchè avete il becchetto intagliato: la buona donna piglia questo becchetto , che è appiccicato al cappuccio con uno spillo, e recaselo in mano, e dice: “ che egli è una ghirlanda. Ora vado più oltre trovo molti bottoni portar dinanzi; dicesi a quella che è trovata; questi bottoni voi nn potete portare e quella mi risponde: “messer si, posso , che qeusti nn son bottoni , ma sono coppelle , e se nn credete guardate , è che nn hanno picciuolo, e ancora niuno occhiello. Va il notaio all’altra che porta gli ermellini , e la vuole scrivere; la donna dice : nn scrivete no, che questi nn sono ermellini , anzi sono lattizi, dice il notaio: che cosa è questo lattizio? E la donna risponde : “ è una bestia
dice uno de signori,” noi abbiamo tolto a contender col muro. E il giudice ha ragione”.

Tanto eprchè il lettore ne abbia un’idea riporterò un frammentod elle leggi che disciplinavano, o meglio dovevano disciplinare il lusso femminile:
“niuna donna femmina, o fanciulla di qualunque stato o condizione sia, maritata o no, possa ardisca, ovvero presuma per alcun modo nella città , contado e distretto di firenze portare : perle, nacchere, o pietre preziose, o alcuna ragione di esse, o adosso , o in capo, o in qualche altra parte del corpo, né oziando sopra alcun vestiemnto, né sopra altra cosa che adosso portasse, né ancora alcun collare o fermaglio sopra o nel petto, come sopra è detto, d’oro o d’argento o indorati o argentati , o di perle e dia lcuna ragione di pietre preziose, ovvero di altre pietre di qualunque altra ragione, e di metalli eziando dissomigliano ai sopradetti”.

E così era stabilito che gli ornamenti di solo argento nn dovevano superare il peso di una libbra prmettendo in più solo una cintura d’argento di quindici once compresa la fibbia. Era proibito di portare più di due robbe o vestiti di seta in un medesimo tempo, né vestiemnti foderati di alcuna pelle domestica os elvatica, stole o frange per guarnizioni intagliate o fatte di pelli ecc..Era permesso portare solamente tre anelli in tutto. Ma nn potevano avere più di una sola perla o un’altra pietra preziosa

L’elenco delle proibizioni e delle restrizioni al lusso è così minuzioso che l’esporlo in dettaglio nn è possibile. Ne andavano esenti le donne de cavalieri , de dottori di legge e delle arti e medicina e le fanciulle minori di età di anni 10 , nonche le fanciulle femmine forestiere per un tempo di quattro mesi, trascorsi i quali cadevano sotto la sanzione del comune.

Una proibizione curiosa era quella cehs tabiliva nn potersi mandare alcun forziero, il quale si manda alle donne , ovvero fanciulle giurate o sposate per parole e pensieri futuri, colle gioie, altrimenti; ne eziando in altro modo di dare , ovvero donare alle predette verun collare , o fermaglio, o ghirlanda, brocchetta di perle e d’oro

Ma come ho accennato, la difficoltà dell’applicazione e la furberia delle donne , rese sempre poco efficace questa legislazione finchè ascesi i medici al principato, nn ebbe più nessun vigore.

Di secolo in secolo si procede rapidamente sulla via del lusso e della raffinatezza. Quello che fosse il settecento tutti sanno. E’ ils ecolo delle eleganze per eccelenza, della cipria, delle parucche, del guardi fante e de cavalier…serventi. Un’altra satira di Lodovico Adimari, ci dà una desrizione gustosa della toelette di una nobil dama.

Vedi la nobil donna, i lisci a soma
Stender sul volto , ed in ritorte anella,
O in vaghe trecce scompartir la chioma
Reder con sottil vetro ogni novella
Lanugine del volto , e il pel nn scabro,
Per comparir più morbidetta e bella
Col minio stemperato, e col cinabro
Far che rubin dell’iride celeste
Sembri in fulgor l’estremità del labro
Con ricche gemme in ricchi drappi inteste
Cingersi il petto, e a guisa di lumaca
Portar la casa addosso in una veste

Pur troppo la smania del lusso donnesco fu in passato come ai giorni presenti causa di molte rovine
Quest’austera probità che contraddistingueva i fiorentini , la più grande parte emrcanti decadde.
Il fallimento commerciale, nonostante il rigore e lo sprezzo quali lo si circondava, cominciò a prender piede; tanto che il lippi, nel suo poemetto giocoso , “ il mal gentile” potè ragionare e inveire contro le moglie distruttrici delle fortune maritari con la famosa terzina:

Donne, che feron già per ambizione
D’apparir girellate e luccicanti,
Dare il c….o al marito in su lastrone

Per chi l’ignorasse dirò che, appunto per eccitare orrore del fallimento , la repubblica aveva statuito, seguendo l’esempio della città di lione, che chiunque fallisse fosse condannato: ostendendo pudenda percutiendo lapidem c…o

Il che in lingua povera , significa che il fallito doveva essere tratto nella pubblica piazza a battere parti posteriori nude, su di un’apposita alstra.
In firenze, il luogo di questo ignominoso gastigo era, sotto le logge di mercato nuovo, dove ancora , proprio nel loro centro, un lastrone di marmo bianco, a forma di ruota con raggi neri. Era l’antico segno del posto dove, in tempo di pace , sostava il caroccio. Certamente questa località, fu scelta perché era quella frequentatissima dai mercanti i quali vi si riunivano giornalmente per trattare i loro affari.

Il poco decente supplizio fu abbolito sotto la dominazione medicea; ma se fosse stato mantenuto fino ai giorni nostri, c’è da ritenere che del segno che ricorda il glorioso carro di guerra da parecchio tempo nn esisterebbe più nessuna traccia!

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